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Competenza e convivenza, apprendimento e comportamento

di Italo FIORIN
Pedagogista

Competenza e convivenza, apprendimento e comportamento

Le Indicazioni nazionali per il curricolo ricordano come la scuola sia «investita da una domanda che comprende, insieme, l’apprendimento e il “saper a stare al mondo”».
Alla scuola si chiede perciò di essere un luogo nel quale la preoccupazione dell’istruire si leghi strettamente a quella dell’educare, che richiede di porre attenzione non solo alla dimensione cognitiva, ma anche agli aspetti relazionali, affettivi e comportamentali. Recentemente è scomparso Jacques Delors, una grande figura della politica, che molto ha contribuito a costruire una visione di Europa inclusiva, solidale e unitaria, pur nel riconoscimento della varietà di culture che la compongono. Delors è ricordato anche per aver coordinato la Commissione UNESCO che ha elaborato il Rapporto Nell’educazione un tesoro (1996), nel quale un capitolo è dedicato ai quattro pilastri dell’educazione, ossia gli apprendimenti fondamentali che la scuola dovrebbe promuovere in modo integrato. I primi due riguardano la dimensione cognitiva e operativa (imparare a conoscere, imparare a fare), gli altri due toccano il piano dei comportamenti (imparare a vivere insieme con gli altri, imparare a essere). Riconoscere anche questo secondo tipo di compiti non vuol dire, per la scuola, assumere impegni che non le competono; significa, piuttosto, sottolineare la dimensione ecologica dell’educazione, la necessità che tutti i soggetti con responsabilità educativa cooperino, in una logica di alleanza.
Sappiamo però che il contesto nel quale viviamo (il mondo) è caratterizzato da un’enorme complessità e problematicità. L’Agenda ONU 2030 contiene un ampio repertorio dei problemi dell’abitare il Pianeta, che ci sfidano e chiedono interventi capaci di fronteggiarli. Non siamo di fronte a problemi troppo grandi, troppo al di fuori della portata dei bambini? Cosa può fare la scuola?
Quello che la scuola non deve fare è fornire solo conoscenze nozionistiche e lezioncine moralistiche; non deve accontentarsi di fornire informazioni, pensando che le conoscenze siano tutto quanto è sufficiente per stare al mondo.
Quello che invece può fare è coinvolgere i bambini in azioni consapevoli di cura, facendoli incontrare con situazioni di fragilità, di degrado ambientale, di bisogno. Non mancano, sono intorno a noi, solo bisogna imparare a vederle. Gli esempi sono innumerevoli. Basta una passeggiata intorno alla scuola per rilevare barriere e ostacoli per persone in carrozzina, aiuole non curate, muri degradati, rifiuti sui marciapiedi; lo stesso giardino della scuola può aver bisogno di attenzione… Cosa si può immaginare e provare a fare per migliorare queste situazioni?
Poi si può allargare lo sguardo, intercettando problemi sentiti dalla comunità. Ci sono anziani fragili e soli, a cui si potrebbe far visita; si potrebbe realizzare una campagna di sensibilizzazione per donare il sangue, un’indagine sulla mancanza di rispetto nel parcheggiare, una valorizzazione del parco urbano… Si possono invitare volontari che operano per i senza tetto, per i migranti, per la salvaguardia dell’ambiente e chiedere loro di che cosa hanno bisogno e che cosa potrebbero fare gli stessi alunni per dare un contributo…
Si può fare veramente tanto, unendo la conoscenza all’azione, e l’azione alla riflessione. Perché nessuno è così piccolo, così povero, così fragile, da non poter fare qualcosa per gli altri, e da non poter imparare a diventare più competente e più ricco di umanità.

Tratto da NUOVO “GULLIVER” NEWS n. 248 marzo 2024